L’amico “ritorna” dall’Aldilà – di Giacomo Massenza

Un omaggio ad una figura che tanto ha scritto di più e meno storico riguardo Castelcovati: il maestro Giacomo Massenza Pacì, dalla innata capacità narrativa di conquistare e affascinare il lettore. Siamo all’incirca 103/104 anni fa, alla vigilia della Grande Guerra. Spiriti che inquietano, ombre misteriose perseguitano, voci tetre che echeggiano nell’aria, la fanno da protagonisti nell’episodio accaduto nella “posseduta contrada di San Marino”. Sembra che il tutto si intrecci alla storia di soltanto qualche anno prima… coi tormenti che il martor infieriva alle spaurite suore dell’asilo lì accanto e con l’inspiegabile ricadere di muri di casa rendicontato dall’articolo, datato 28 marzo 1901, de La Sentinella Bresciana “Un’altra casa che crolla”.

Articolo de La Sentinella Bresciana 28 marzo 1901

Articolo de La Sentinella Bresciana 28 marzo 1901

26 febbraio 1994 Bresciaoggi

LE CASE DEL MISTERO (2): Castelcovati : il custode del cimitero parla del compagno di guerra

L’amico “ritorna” dall’Aldilà

Davanti al parroco, Carlo sente la voce di Giulio :«Volevo restituirti il portafoglio»

Di Giacomo Massenza

Bresciaoggi 26 febbraio 1994

Bresciaoggi 26 febbraio 1994

Era tornato dalla Libia, Carlo Machina, con una gran voglia di riprendere a vivere una vita normale e di dimenticare gli orrori di una guerra che la cosiddetta patria lo aveva costretto a combattere in una terra non sua. Dimenticare la morte di tanti amici, in particolare di quel Giulio Bragulio, che era partito con lui per una spedizione da cui non aveva più fatto ritorno. Dimenticare anche il modesto disappunto di quel portafoglio smarrito proprio alla vigilia della sanguinosa spedizione. Aveva chiesto all’amico Giulio se per caso l’avesse trovato, e quello gli aveva riposto di no. Perdere anche pochi spiccioli era sempre un dispiacere per chi non ne aveva mai avuti molti; tuttavia il Machina aveva messo il cuore in pace, preoccupato in quel momento della drammatica situazione che stava per affrontare. Non avrebbe, quindi, mai immaginato che quel semplice disappunto sarebbe stato il preludio di ben più gravi affanni. Una volta congedato Carlo aveva trovato casa e occupazione come custode del cimitero di Castelcovati suo paese d’origine; abitava in un appartamentino annesso alla chiesa di S. Marino, che per secoli, prima che accanto al Santuario fosse costruito il cimitero, era stata la dimora di un eremita. Nonostante il passare dei decenni e nonostante che la funzione di custode del cimitero fosse liturgicamente molto diversa da quella del frate eremita, la gente aveva continuato a chiamare “rumit” l’inquilino di quella minuscola dimora. Non era forse un’ occupazione particolarmente entusiasmante, ma Carlo era persona che si accontentava facilmente, come del resto la gran parte dei suoi compaesani, tutto sommato il vantaggio di vivere accanto a dei vicini così tranquilli lo avrebbe aiutato a superare più facilmente lo stress della sua atroce esperienza militare. Ma non fu così. Non poteva dire con precisione quando la cosa fosse cominciata, ma ad un certo punto aveva dovuto constatare che un’ ombra si era insinuata nella sua vita; una semplice ombra, quasi impercettibile, che talvolta figurava solo con la coda dell’occhio e talvolta vedeva davanti a sé, ma così tenue ed impalpabile da far pensare più che altro a una disfunzione della vista. Carlo, che non era mai stato un uomo dalla fantasia accesa, e neppure persona particolarmente pavida, considerava più che altro un fastidio questo inconveniente, che lui stesso riteneva fosse frutto postumo delle paure subite in guerra. Non ne ha mai parlato a nessuno, anche per paura di essere deriso, ed ha aspettato con pazienza che pian piano l’inconveniente si risolvesse da solo. Ma il peggio doveva ancora avvenire. Un giorno fece per uscire da una stanza, ma per alcuni secondi la porta non si aprì, come se di là ci fosse qualcuno che la tratteneva. Poi un’altra volta, per alcuni minuti, non riuscì ad aprire la porta del gabinetto; nel giro di pochi giorni Carlo si rese conto che quella “Cosa” misteriosa stava condizionando pesantemente la sua vita. Non qualcosa di particolarmente minaccioso, ma una presenza assillante che attraeva costantemente la sua attenzione. Nel frattempo era sensibilmente dimagrito, e quando un suo amico gliene chiese la causa, si decise finalmente a confidare il suo imbarazzante segreto. L’amico si offrì di andare ad abitare con lui, pensando che la sua compagnia lo avrebbe rassicurato, ma tutto inutile: l’amico non vedeva ombre, né sentiva la resistenza di forze oscure, ma per caso la presenza della Cosa continuava fosca ed incombente come prima. Decisero allora, di rivolgersi a don Stefano Chittò, il parroco del paese, una persona solida ed equilibrata , che fece press’a poco questo di scorso: «Se si tratta di un mistero, ci penso io a stanarlo; in caso contrario, capirai che è una tua fisima e così ti passerà». Don Stefano ha preso il librone e l’aspersorio, ha cosparso la casa e le adiacenze con qualche decalitro di acqua benedetta, ha recitato coi presenti qualche migliaio di preghiere e di giaculatorie, e alla fine, perentorio, ha intimato: «Chiunque tu sia, essere misterioso, ti comando in nome di Dio di dirmi chi sei e cosa vuoi». Ed eccola la sorpresa finale, che nessuno, nemmeno Carlo, si aspettava. La “Cosa” parla e dice: «Sono Giulio Bragulio, il portafoglio l’avevo trovato io. E lo volevo restituire, ma la morte me lo ha impedito. Non avrò pace finché non mi perdonerai». Occorre dire qual è stata la risposta di Carlo, liberato definitivamente dall’incubo? La versione più corrente del fatto dice che solo Carlo ha sentito la voce, nel qual caso Freud potrebbe dare la sua spiegazione. Carlo aveva rimosso nel suo subconscio sia il sospetto che l’amico non gli avesse detto la verità, sia il rimorso per questo non provato sospetto. L’uomo e l’altro si erano poi materializzati negli strani fenomeni, risolti alla fine sul piano psicanalitico degli esorcismi di don Stefano, che avevano semplicemente fatto emergere i grovigli del subconscio. E’ una bella spiegazione, chiara, scientifica. Ma allora, perché subito dopo, davanti alle persone raccolte sotto il portichetto del Santuario è apparsa improvvisamente nell’aria una palla di fuoco, che si è abbassata pian piano sopra un fosso li vicino finché è scoppiata improvvisamente e fragorosamente a contatto dell’acqua? (la prima puntata è stata pubblicata sul Brescia oggi del 17 febbraio 1994)